Intervista ad Amira Jazeera, the Palestinian Pop Princess
- Arianna B. Bartolozzi

- 15 ott
- Tempo di lettura: 5 min

Scopri di più su Amira Jazeera, la cantante e produttrice palestinese-americana che trasforma la sua vita in inni pop indimenticabili! In questa intervista Amira parla del suo percorso, della sua musica e delle sue radici. Direttamente dalla sua camera a Chicago, unisce l'atmosfera luccicante tipica degli anni ’80 e 2000, l'R&B contemporaneo e i suoni caratteristici della sua eredità palestinese. Il suo ultimo album, The Amira Diaries, parla di sopravvivenza, amore per se stessi, dolore e resilienza ed è avvolto in un’eleganza glam ispirata al barocco arricchita da sensuali influenze arabe.
La Palestina è un paese della regione mediterranea che sta affrontando grandi difficoltà e continua a lottare per la propria libertà. Vive anche grazie ad artisti come Amira che trasformano il loro presente, il loro passato, le emozioni che provano e le loro radici in musica personale, audace e indimenticabile. Se questa causa ti sta a cuore ma non puoi contribuire direttamente, sostenere artiste come lei è un modo concreto per fare la differenza, donne che, attraverso la loro musica e le loro voci, portano avanti con orgoglio le proprie origini e mantengono viva la loro cultura. Nella sua musica Amira porta avanti lo spirito della Palestina e noi ci uniamo al suo desiderio di vederla finalmente libera.
Buona lettura!
Il tuo primo album, "The Amira Diaries", è uscito ad aprile. Com’è stato il processo creativo? Quali impressioni o emozioni ti hanno accompagnato durante la sua realizzazione?
Ho sempre voluto fare un album. Col tempo ho scritto canzoni basate sulle mie esperienze e, a un certo punto, tutto ha iniziato ad avere senso: era il momento giusto per farlo. L’ho chiamato The Amira Diaries perché è un lavoro molto personale e molte delle canzoni sono state per me un modo per affrontare cose tipo rotture, traumi, lutto e tutto il resto. È questo che ha ispirato l’album e il suo processo creativo. Onestamente gran parte del disco l’ho realizzato da sola nel mio "home studio" a casa. Mi trovavo in un momento in cui avevo perso tutto e dovevo ricominciare da zero. Ho imparato a produrre da sole e questo mi ha aiutato a capire chi sono, qual è il mio suono e cosa mi piace davvero.
Se dovessi suggerire un luogo o una situazione in cui ascoltare l’album, quale consiglieresti?
Per quanto riguarda il luogo, credo che si possa ascoltare ovunque, davvero. Lo immagino in una caffetteria, in un negozio, nella tua camera o davanti al camino, ovunque tu voglia. Direi che le persone che dovrebbero ascoltarlo sono sicuramente quelle che hanno vissuto una rottura sentimentale. Ascoltatelo, vi farà bene. Oppure se state vivendo una relazione tossica.
Quali delle tue canzoni consiglieresti a qualcuno che non ha mai ascoltato la tua musica?
Direi Still Thinking About Me, Solitude e Hypnotizing! Sono le mie tre preferite.
Abbiamo visto che la scorsa settimana hai avuto il tuo primo concerto da headliner! Com’è andata e come ti sei sentita sul palco? Abbiamo anche notato che ti sei esibita insieme ad altri artisti mediterranei (Grecia e Libano), il che è fantastico! Com’è rappresentare la nostra amata regione mediterranea così lontano da casa?
Sinceramente la me più piccola non ci crederebbe! Ho sempre desiderato vedermi in questo tipo di location, è stata una serata bellissima. Tutte le persone presenti erano gentili, il pubblico era caloroso e accogliente, si respirava l'energia di uno spazio sicuro dove chiunque poteva essere sé stesso e sentirsi accettato. È stato magnifico. L’ho amato così tanto. Era queer, era arabo, era greco. È stato incredibile. Un’esperienza bellissima.
Fantastico. A proposito, sei anche conosciuta come la “Palestinian Pop Princess”. In che modo le tue radici palestinesi e mediterranee influenzano la tua musica?
Direi che sono cresciuta ascoltando tanti generi diversi. Mio padre ascoltava molta musica araba, mentre mia madre amava gli artisti anni ’80 e ’90 come Mariah Carey, Janet Jackson e altri. Penso che la mia musica sia una fusione di questi due mondi. Mi piace inserire piccole influenze palestinesi, soprattutto nelle percussioni. Adoro i tamburi mediorientali e integrarli nei miei brani. È qualcosa di davvero fantastico.
Ti senti in qualche modo responsabile, come artista di origini palestinesi, di parlare della situazione attuale e di valorizzare la tua eredità e le difficoltà della Palestina attraverso la tua musica?
Sì. In quanto palestinese, e penso che molti palestinesi lo direbbero, siamo sempre fieri e rumorosi riguardo alla nostra identità. La gridiamo dai tetti! Rivendicherò sempre chi sono e le mie radici con orgoglio. Sì, credo che sia una responsabilità, ma anche un dovere: se hai una piattaforma, devi usarla, devi usare la tua voce. Sarebbe assurdo dire di essere palestinese e poi non parlarne. È qualcosa che tocca molte persone a me vicine, i miei amici, la mia famiglia, e per me è molto importante affrontarlo. Essere una ragazza palestinese nel pop, rompere barriere… è sempre stato un mio sogno, e continuerò a rivendicare chi sono.
Dal momento che sei anche produttrice, hai notato delle differenze nella tua esperienza come donna in questo campo?
Sì, essere una donna in questo settore significa che ci sarà sempre un uomo pronto a spiegarti le cose con tono condiscendente, come se tu non sapessi di cosa parli, anche se probabilmente ne sai più di lui. Credo di essere diventata produttrice per necessità. All’inizio della mia carriera ho lavorato con molti uomini e alcuni di loro si sono approfittati di me, cosa che ho capito solo più tardi. È un ruolo difficile ma è importante sostenerci a vicenda. Un’altra cosa che cerco di fare è condividere le conoscenze che ho: aiuto le mie colleghe produttrici o le altre ragazze che fanno pop e mi sono vicine. Do piccole lezioni di Ableton alle amiche che ne hanno bisogno. È importante aiutarci perché non è sempre un ambiente sicuro e purtroppo questa è la realtà.
Hai qualche consiglio per le altre ragazze indipendenti che, come te, fanno musica?
Il mio consiglio è: bisogna pur cominciare da qualche parte. Spesso si pensa: “Non ho l’attrezzatura da studio, non ho soldi per registrare”. Ma anch’io ho iniziato così. Se hai un telefono puoi già fare tantissimo. Puoi registrare su GarageBand, usare BandLab, SoundLab, oggi ci sono tantissime app per iniziare. E poi, buttati! Non fa mai male contattare qualcuno con cui vorresti collaborare. Cosa potrà mai succedere? Che ti dicano di no? Se lo fanno va bene, vai avanti. Ma magari ti diranno di sì e nascerà qualcosa di bello. Quindi sì: continua, rendi realtà le tue idee, non aspettare. Fallo e basta perché il tempo passerà comunque.
Potete seguire Amira Jazeera qui e ascoltare la sua musica qui:



